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DOMENICO CONTE

Tommy a Weimar.

Thomas Mann da «monarchico del cuore» a «repubblicano della ragione»

Thomas Mann si è definito come «impolitico». La sua vita è però segnata da forti scansioni politiche, al punto che la sua biografia potrebbe essere articolata politicamente. Dopo la parentesi aspramente conservatrice degli anni della Prima guerra mondiale, di cui sono testimonianza le Considerazioni di un impolitico (1918), Thomas Mann compie la famosa «svolta» che lo porta a sostenere la Repubblica di Weimar e i suoi valori liberal-democratici. Gli anni dell’emigrazione, che fu precoce, dapprima in Svizzera (1933-1938), poi negli Stati Uniti (1938-1952), dove Mann assunse la cittadinanza americana, faranno gradualmente dello scrittore lubecchese uno degli intellettuali più esposti nella lotta contro la Germania hitleriana, interpretata demoniacamente nel Doktor Faustus (1947).

 

La relazione affronterà il rapporto Thomas Mann-Weimar soprattutto sulla base dell’analisi dei Tagebücher (1918-1921) e della fondamentale produzione saggistica di Mann, a partire dai saggi Della Repubblica tedesca (1922) e Sulla dottrina di Spengler (1924), che sanciscono “ufficialmente” il passaggio di Mann da «monarchico del cuore» a «repubblicano della ragione» (F. Meinecke), passando per il Rendiconto parigino (1926), fino all’Appello alla ragione (1930), un discorso già disturbato dalle SA e dall’intervento di scrittori antimanniani come Arnolt Bronnen e Friedrich Georg Jünger.

 

L’adesione alla Repubblica di Weimar non fu però “pacifica” per Thomas Mann, personaggio poliedrico e di rara complessità. L’analisi di saggi come La posizione di Freud nella storia dello spirito moderno (1929) e, soprattutto, Goethe e Tolstoj (1924-1925), pensato e scritto negli anni dello Zauberberg (1924), mostreranno le tensioni e anche le contraddizioni che scaturiscono dal tentativo di mediare il quadro dei valori repubblicani con la  fisionomia psicologica e spirituale di uno dei grandi viandanti del Novecento.

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